NON E’ ANCORA NATO

Domenica 8 luglio ore 20.00 Sala Frau

di  Caroline Baglioni, Michelangelo Bellani
con  Caroline Baglioni
regia  Michelangelo Bellani
luci Gianni Staropoli
suono Valerio Di Loreto
collaborazione artistica Marianna Masciolini
supervisione tecnica Luca Giovagnoli
un progetto di  Caroline Baglioni/Michelangelo Bellani
con il sostegno del Teatro Stabile dell’Umbria

residenze artistiche: Straligut Teatro –  Re.te Ospitale – Compagnia teatrale Petra – Terni Festival/Indisciplinarte – Teatro delle Ariette

Una giovane donna e una storia da incidere. Incidere nella memoria o ri-creare nell’immaginazione. Davanti agli occhi un quadro e il padre, un uomo di sessant’anni e sessant’anni di un uomo che ha avuto un’amnesia temporanea e vive in un camper. In mezzo sette anni di distanza. E un’epoca del rancore. È la voce sola della giovane donna a incidere, a comporre il dialogo, a prefigurare, il ricordo di un vissuto o soltanto l’illusione che un giorno tutto possa accadere davvero. Un testo originale, anche se qualcuno, con la cura dello sguardo, potrebbe percepire in filigrana un’eco distorta e lontana proveniente dal vecchio Edipo a Colono Sofocleo: l’eroe della cattiva sorte, il “supplice che porta salvezza” scacciato e maledetto che vaga cieco e ramingo accompagnato dalla figlia Antigone.

Una storia da decodificare, da ricomporre con gli oggetti in lontananza nel tratteggio surreale del sogno. Una storia sotterranea da portare alla luce. 

Solo alla fine si esce allo scoperto. All’aperto di un bosco sacro che non è un bosco, ma un parco di periferia e di sacro ha forse solo l’abbandono. 

E come nel “posto delle fragole” di Bergman, lo specchio della memoria diviene un’esperienza di autenticità in cui la riconciliazione avviene per vie impensate e inadatte. Perdonare. Perdonarsi. Nascere. Al tramonto. In Occidente.
(Caroline Baglioni, Michelangelo Bellani)

note di regia 

Non è ancora nato è una storia contemporanea. Verosimile anche se forse non del tutto realistica. Non del tutto, nella misura in cui il teatro può barattare l’attinenza, la vero-somiglianza, con l’immaginazione. 

È una storia che riflette sul perdono. Perdonare significa perdonare qualcun altro, ma in un certo senso, se non in primo luogo, perdonare se stessi. Dare a se stessi una via d’uscita, una possibilità di riscatto da una condizione di sofferenza. Nella nostra storia il perdono riguarda quello di una figlia nei confronti del padre ovvero quello di un padre e di una figlia nei confronti della propria esistenza. 

Psicanaliticamente perdonare può significare liberarsi dal senso di colpa. Quale colpa? Nel tempo dell’evaporazione del padre, i figli non hanno la chance dello scontro generazionale. Padri di una vecchiaia che apparentemente non invecchia, i figli sono semplicemente coetanei. (Le figlie di Edipo sono anche sue sorelle) Anche per il padre della nostra storia, come per il vecchio eroe sofocleo, si tratta di sopravvivere completamente sguarnito di un ordine di senso universale. Ma ogni figlio non chiede più o meno consciamente questo senso? Ciò che la figlia non perdona al padre non è, dunque, il fatto di non averla amata, ma di non aver saputo dare ordine al caos. Il paradosso di quest’epoca sembra essere tutto qui: «Mio padre, non è ancora nato.»

Se questa, allora, sembra essere la condizione universale dell’uomo, il perdono reciproco è l’unica salvezza possibile. ‘Sacro’ da questo punto di vista è lo spazio aperto di un’autenticità, di un sentire senza nome. Una dimensione che come ricorda Kierkegaard oltrepassa ogni questione etica poiché al di là del vero e del falso, così come al di làdel benee del male: è uno spazio d’amore. (Michelangelo Bellani)

http://www.lamamaspoletopen.net/

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